Una teoria di conchiglie allineate su di una roccia con la scogliera “tiltata” all’orizzonte, sotto la luce di un sole caldo e familiare, tranquillizzante.
Lo stereotipo è spesso l’incipit di storie che diventano importanti, che si arricchiscono man mano che raccontano, che scavano in profondità, man mano che il cuore prende il posto della ragione.
Potremmo dire che quello dello stereotipo è una sorta di livello comune, basico della percezione del reale.
Diventa una memoria da cui diparte il germe della creatività.
Un aspetto deleterio dello stereotipo è la propensione delle persone a guardare, ad osservare non per le peculiarità di ciò che osserviamo ma perché appartenenti ad una categoria, uno stereotipo appunto.
La categoria del paesaggio è fatta di natura, alberi, fiumi, città ed è difficile vedere il paesaggio in una trama astratta oppure in un corpo nudo.
La fotografia, o meglio il suo linguaggio, fa dello stereotipo un punto di partenza laddove nel comune vedere è invece la realtà vera, nella banalizzante e tranquilla ordinarietà delle cose.
Il fotografo reinterpreta, rimaneggia, a volte falsifica , a volte “ruota”(compositivamente) quello che ci scorre davanti gli occhi.
Ferdinando Scianna ha detto che “ si può mentire con la fotografia.Si può persino dire la verità, per quanto ciò sia estremamente difficile.Il luogo comune vuole che la fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo è lo specchio del fotografo “.
Luigi Grieco