C’è bisogno di una personale inquietudine

Bruce Chatwin (autore, tra l’altro, di Le vie dei canti, di cui parlavamo qui) parlava di personale inquietudine come di un indispensabile ingrediente delle sue fotografie.

Se non conosci le sue opere prenditi un po’ di tempo e cerca in una biblioteca pubblica oppure su santa Google della conoscenza (!), o chiedi a qualche amico e, insomma, vedrai che nei romanzi come nelle sue fotografie trapela l’inquietudine di chi non è pago dello status quo.

Chatwin non si accontentava. Ciò che appariva non era sufficiente per raccontare la sua storia. Lui indagava, armato delle lenti speciali dei suoi occhi, dietro e dentro alla forma, fino alla essenza. Quello che poi restituiva al mondo erano parole/immagini che donano (eternate) sensazioni si pace e inquietudine al contempo.

Ancora una volta facciamo qui una specie di appello:

Artisti? Presenti

Bislacchi? Presenti

Curiosi? Presenti

Inquieti? Presenti

Appello fatto per ribadire che ok, (lo abbiamo detto più volte) se ci stai leggendo è probabile che tu appartenga già ad una di queste classi eppure forse nella classe degli inquieti non ti ci saresti messo…

L’inquietudine di cui andiamo cianciando non è opposto logico né semantico di serenità, lo è invece di pago, appagato (chi si accontenta, appunto).

Questo post si conclude con una preghiera:

NON ACCONTENTARTI

perché è assai più probabile che così facendo tu possa crescere davvero, come fotografo e come persona.

Questo (forse) è l’elisir di lunga vita: la ricetta l’hai appena avuta gratis e gli ingredienti li  hai già tutti dentro di te.

 

Francy03

(m. p.)

 

 

 

 

 

 

 

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