Forse il titolo è un poco esagerato ma prendiamolo come ennesima provocazione.
Ho viaggiato molto nei paesi arabi e musulmani , uno di questi è la Siria. Sfogliando i miei archivi , anche di diapositive, mi accorgo di avere foto di luoghi che non esistono più o almeno esistono in parte, come Palmira, le Ruote di Homs, le moschee di legno di Aleppo e soprattutto ritratti di bambini che mi hanno donato sorrisi veri e trasparenti, una trasparenza che mi ha fatto entrare spesso nelle loro vite e le loro famiglie. Ho goduto dell’ospitalità disinteressata e della condivisione della loro vita quotidiana, ho fotografato momenti intimi come un matrimonio o la vestizione per una festa, foto che non ho reso mai pubbliche intese come date in pasto ad una morbosa curiosità. Ho avuto tantissimo da quella gente , soprattutto la loro fiducia. Ora mi sento in qualche modo un traditore, di tutto quello che potevo dare io a quei bambini ormai diventati uomini ne ho fatto forse poco. Da studioso di quelle culture credo di avere fatto molto con le parole, lottando contro un atteggiamento etnocentrico che porta a giudicare le culture altre con il metro dei nostri valori.
Da fotografo non ho fatto tutto quello che mi si chiedeva.
Ma una cosa non l’ho mai fatta : indirizzare il mio sguardo e il mio linguaggio solo alle “belle fotografie” e mettere in secondo ordine le “buone fotografie”
Oggi sulla stampa , ma soprattutto sui social c’è un proliferare di post con immagini crude e spesso censurate del “problema” Siria e prima accadeva di altri “problemi” in giro per il mondo.
Ma c’è stato un lungo periodo in cui i reportage, i servizi, i premi di fotogiornalismo hanno ceduto ad una “deriva estetica”, con finanche interventi di postproduzione e pre-artefazione delle situazioni da raccontare.
Non è mia intenzione generalizzare né ergermi a giudice ma riportare l’attenzione attraverso il dibattito/ dialogo sulla responsabilità che grava sulla fotografia di essere onesta e incline al rispetto.
Nei numerosi incontri nel nostro Caffèfotografico poniamo l’accento sulla riflessione su ciò che è veramente importante nella fotografia e nella vita di tutti noi.
lg